Pionierismo, sostenibilità, biodiversità e rispetto del territorio: Banfi, la cantina che ha segnato la storia moderna del Brunello

Può tranquillamente essere considerato il più grande progetto che sia mai stato realizzato nella produzione di vini di qualità in Italia, un’esperienza unica nel panorama vitivinicolo mondiale per ricerche pionieristiche, rispetto del territorio, sostenibilità e biodiversità. Quando parliamo di Montalcino e di Brunello è impossibile non citare Castello Banfi, l’azienda che ha trainato il Brunello in direzione Usa, oggi mercato di riferimento per l’export, e che ha tracciato la rotta verso brillanti palcoscenici che ne fanno uno dei vini più pregiati e ricercati al mondo. Una storia a stelle e strisce, ma con chiari origini italiane, quella di Banfi, nata nel 1978 per volontà dei fratelli italoamericani John e Harry Mariani, esportatori di vini italiani negli Stati Uniti con la Banfi Vintners, realtà fondata nel 1919 dal loro padre Giovanni F. Mariani Sr., che si era appassionato di enogastronomia nella sua esperienza da ragazzo in Italia, ospite della zia Teodolinda Banfi, cresciuta accanto al cardinale Achille Ratti (nel 1922 nominato Papa Pio XI) e prima donna laica a varcare le porte della sede papale. Il nome dell’azienda, Banfi, deriva proprio da Teodolinda, piccola donna dotata di formidabile personalità e grande esperta e conoscitrice di vini.

“John Mariani, viaggiando molto in Europa e in Italia, un giorno viene a Montalcino e si innamora di questo territorio ancora in gran parte inesplorato – ricorda l’amministratore delegato di Banfi Enrico Viglierchio – insieme a Ezio Rivella, uno dei più grandi enologi italiani, John decide di far partire questo progetto, inizialmente con l’acquisizione dei terreni. Dal 1978 al 1983, con l’annessione del Castello di Poggio alle Mura, vengono rilevati gli attuali 2.830 ettari di proprietà, sul versante meridionale di Montalcino, tra i fiumi Orcia ed Ombrone”. L’anno dopo, durante l’inaugurazione della cantina, John Mariani tiene un celebre discorso: “Il nostro più profondo desiderio è che questo progetto sia un bene per la gente di Montalcino, un bene per l’Italia, un bene per l’America e un bene per tutti coloro che amano i vini di qualità”. “Sono orgogliosa di poter dire che è andata esattamente così – spiega sua figlia Cristina Mariani-May, terza generazione di famiglia adesso al comando di Banfi – quando mio padre immaginò il progetto della cantina e dei vigneti costellati lungo il territorio, sembrava quasi impossibile che diventasse realtà, vivendo a New York. E invece è accaduto, grazie alla dedizione dei nostri team italiani e americani e alla vocazione all’eccellenza. Banfi e Montalcino rappresentano la bellezza di un sogno che si è avverato”.

All’inizio la tenuta Banfi contava pochissimi ettari di vigneti, oggi la superficie vitata è di 850 ettari (173 a Brunello e 28 a Rosso di Montalcino, per una produzione di 10 milioni di bottiglie annue delle quali 600.000 di Brunello e 700.000 di Rosso di Montalcino) grazie ad una crescita avvenuta nella seconda metà degli anni Ottanta e negli anni Novanta (l’ultimo ampliamento dell’albo risale al 1996). Sono presenti le principali varietà nobili internazionali, che si sono perfettamente inseriti in questo eccezionale habitat, ma l’attenzione principale è sul Sangiovese, il vitigno principe di Montalcino e della Toscana, sul quale dagli anni Ottanta si è incentrato, per la prima volta nella storia dell’enologia e in collaborazione con l’Università di Milano e con il professor Attilio Scienza, un progetto di selezione clonale. “Da una prima selezione di 650 presunti cloni – spiega Viglierchio – siamo scesi a 180 individui impiantati in un vigneto-catalogo, per arrivare all’identificazione e all’omologazione di 15 cloni, iscritti nell’albo viticolo nazionale del Sangiovese. Di questi 15 cloni ci siamo concentrati in particolare su tre, che ritenevamo più interessanti per quanto riguarda la nostra territorialità e la nostra idea di Sangiovese. Dalla selezione clonale nasce anche un altro progetto, quello della zonazione. Abbiamo identificato un’area particolarmente interessante e nel 1997 è nato il Brunello di Montalcino Poggio alle Mura”.

Altre iniziative si sono sviluppate in cantina, come lo studio delle tecniche di lavorazione del legname per le barrique (fase essenziale per la nascita di grandi vini. Banfi ha condotto una ricerca sui legni, intervenendo dalla scelta delle piante alla stagionatura, fino alla tostatura) o la realizzazione della nuova area di vinificazione “Horizon”, caratterizzata da tini compositi, realizzati in legno e acciaio, in cui avviene la fermentazione.

Dei 2.830 ettari della tenuta, solo un terzo è vitato. Il resto è occupato da oliveti, frumento, tartufi, bosco (c’è un piccolo progetto di querce da sughero), terreni incolti e frutteti, in prevalenza susini. “L’impianto di prugne da essiccazione – sottolinea Viglierchio – lo abbiamo ereditato dall’azienda Poggio alle Mura, che conferiva il prodotto fresco alla cooperativa emiliana Monterè, nata per commercializzare prugne secche di origine italiana”. I circa 50-60 ettari iniziali sono raddoppiati a 110 ettari. “Facciamo la prima essiccazione qui in azienda. Rappresentiamo il primo produttore nazionale di prodotto per essiccazione e uno dei più grandi a livello europeo”.

Arriviamo ad una parola cardine della Banfi, sostenibilità. “Siamo stati la prima cantina al mondo a ricevere la certificazione di tripla ISO per la responsabilità ambientale, sociale ed etica e continuiamo la nostra missione di proteggere la terra e i metodi agricoli per consentire al terroir di prosperare negli anni futuri”, dice Cristina Mariani-May. “A Banfi – aggiunge Viglierchio – la sostenibilità è un concetto molto ampio che coinvolge tutte le fasi della filiera produttiva, con una strategia trasversale ed un piano strategico ben definiti. Siamo profondamente convinti che il successo debba andare di pari passo con il rispetto per l’ambiente e il benessere delle persone. Sono tre i fattori imprescindibili: ogni azione deve risultare socialmente equa, sicura per l’ambiente e al contempo realizzabile economicamente”.

La sostenibilità è una filosofia che poi si declina in progetti diversi. Come la bottiglia leggera (dopo un accurato studio con alcune vetrerie, dal 2014 Banfi utilizza bottiglie di 360 grammi anziché 570 grammi, con un risparmio economico e ambientale), il “bio bed”, un letto biologico che azzera la dispersione nell’ambiente dei residui durante il lavaggio delle macchine agricole e la micro-irrigazione, che consente un risparmio d’acqua di quasi l’80%.

Un’altra parola magica, che è poi la caratteristica di Montalcino, è la biodiversità. Oltre al vino Banfi produce grappa, acquavite di prugne, olio, condimento balsamico etrusco (salsa balsamica), pasta di farro e grano duro varietà Cappelli e, da un paio di anni, anche il miele. “L’apicoltura è preziosa sia per l’impollinazione della frutta che per il ruolo di indicatore della salubrità del territorio e dell’ambiente in cui viviamo – continua Viglierchio – abbiamo circa 40 arnie, prevediamo di arrivare ad un centinaio, con la realizzazione di un reparto di smielatura e confezionamento del miele. Tutte le iniziative rientrano sempre nell’ottica di sostenibilità. Il motore è il vino e in particolare il Brunello, poi ci sono tanti accessori che rendono la macchina più bella”.

Dal 1986 Banfi ha dato vita anche ad una sua fondazione, nata con l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura vitivinicola italiana nel mondo: un contenitore dinamico che può andare dal restauro di un reperto etrusco ad un convegno didattico, a un concerto di musica. “È un progetto ambizioso che nasce in tempi non sospetti, quando l’educazione e la cultura non erano ancora tra gli obiettivi principali delle aziende vitivinicole”, spiega Rodolfo Maralli, responsabile marketing e commerciale di Banfi e presidente della Fondazione Banfi. Il progetto primario, nato nel 2017, si chiama Sanguis Jovis – Alta Scuola del Sangiovese, primo e unico osservatorio italiano sul Sangiovese. “Si muove su tre pilastri: formazione, ricerca e comunicazione – precisa Maralli – la formazione si attiva con la Summer School e la Winter School, dedicate a tematiche che spaziano dall’enologia al marketing, fino alla  comunicazione. Il secondo è la ricerca scientifica, che avviene attraverso l’attivazione di borse di studio su tematiche umanistiche ed economiche, dall’epigenetica allo storytelling, dalla fenotipizzazione dei porta innesti allo studio dei suoli. Il terzo punto è la comunicazione, ad esempio tramite la pubblicazione, due volte all’anno, dei Quaderni di Sanguis Jovis, editi dalla Fondazione Banfi, per diffondere i progetti dei grant di ricerca”.

Ma la Fondazione è anche tantissimo altro. Dal 1992 cura il Museo del Vetro e della Bottiglia, intitolato a Giovanni F. Mariani e allestito nel Castello di Poggio alle Mura, dove viene raccontata la storia del vetro dal V secolo a.C. ai giorni nostri e il particolare legame con il vino, e dal 2007 guida gli scavi della Balena Brunella, uno scheletro fossile di balenottera di epoca pliocenica scoperto nella proprietà di Banfi e considerato dagli esperti uno dei ritrovamenti paleontologici più significativi degli ultimi decenni. Da 22 anni la Fondazione promuove anche il “Jazz&Wine in Montalcino”, tra i primi festival musicali ad aver abbinato il vino di qualità con la buona musica, che ha portato il meglio del jazz nazionale e internazionale a Montalcino (l’edizione n. 23 si terrà a cavallo tra luglio ed agosto 2020).

“In futuro – dice Cristina Mariani-May – continueremo ad affinare le pratiche sostenibili sulle nostre colture e a dedicarci alla Fondazione, per condividere i risultati di anni di ricerche sul territorio di Montalcino e sul Sangiovese, migliorare il Brunello e proteggere l’ambiente”. La proprietaria di Banfi parla anche dell’attualità. “Da italo-americana il mio cuore va verso chi ha sofferto e continua a combattere contro il Covid-19. La chiusura dei ristoranti è stato un duro colpo per il Brunello ma per fortuna abbiamo una bellissima annata, la 2015. Il mercato “on premise” sta lentamente riaprendo negli Usa, continueremo a educare il consumatore e a vendere Brunello e Rosso di Montalcino e allo stesso tempo regolare le nostre piattaforme per muoverci nell’online con degustazioni e presentazioni dedicate all’unicità di Montalcino. Speriamo di poter presto accogliere di nuovo i molti visitatori americani che vengono a trovarci. Perché non c’è niente di meglio che vivere Montalcino in prima persona”.